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martedì 23 agosto 2011

Tre anni di Scienze della Comunicazione: riflessioni e bilanci

Sono passati già tre anni dall'inizio del corso di Scienze della Comunicazione, la parte didattica in aula è ormai terminata, e volevo approfittare di questa pausa d'agosto per stendere un primo bilancio e qualche considerazione, del tutto personale, su questa esperienza assolutamente positiva.

Le aule. Il corso di Scienze della Comunicazione si è svolto quasi interamente nella ormai mitica Aula 2, l'aula più grande della facoltà. Disposta a semicircolo, ha una acustica imperfetta: chi è seduto ai lati ha difficoltà nell'ascolto sia che il docente sia microfonato o no. Dotata di una grande lavagna centrale, unico suo supporto multimediale è costituito dal video proiettore montato fisso sul soffitto, ma l'illuminazione dell'aula rende difficoltosa la visione di ciò che viene proiettato sullo schermo. Dai lati dell'aula la visione è praticamente impossibile. Da qui l'assembramento nei posti centrali. I banchi sono decisamente troppo stretti: si ha sensazione di essere incastrati, più che seduti. Il piano d'appoggio poi, è irrazionalmente troppo piccolo e non riesce a contenere i quaderni per gli appunti, cellulari, penne, occhiali, registratori, per non parlare di zaini, borse ad astucci, insomma il normale corredo di oggetti che ogni studente porta con sé. Quando l'aula è normalmente piena, si sta gomito a gomito e se questo incentiva i rapporti umani con il proprio vicino, non è il massimo per la didattica. Per quanto riguarda l'areazione, d'estate il condizionamento è più che buono (anche troppo: nelle aule più piccole fa praticamente freddo), scarso il riscaldamento d'inverno, ma vista la promiscuità forzata di cui sopra si compensa un po' con l'effetto "bue ed asinello", e comunque d'inverno è prassi comune seguire le lezioni con il cappotto addosso visto anche la cronica assenza di appendiabiti nell'aula. Ma la palma di aula più inospitale d'inverno spetta sicuramente
all'Aula 16. Disposta dall'alto verso il basso, comincia al primo piano e finisce nel seminterrato. La cattedra del docente, così come il primo banco, si trova praticamente sotto il livello stradale. L'aula si affaccia direttamente all'esterno, nell'ampio parcheggio della facoltà: l'assenza di ostacoli esterni permette facilmente alla gelida aria invernale di penetrare nell'aula, e l'effetto frigorifero è assicurato.

I servizi igienici. I bagni della facoltà sono davvero una nota dolente: troppo pochi in rapporto alla popolazione studentesca e decisamente malmessi. Al piano terra ne ho contati solo sette: due nell'ampio corridoio della biblioteca, altri due alle estremità dell'Aula 16, e due situati nel corridoio accanto alla sala informatica. Per la loro vicinanza all'Aula 2 questi ultimi sono i bagni più gettonati, ma al loro interno vi sono solo due gabinetti (almeno in quello maschile). In fondo a questo corridoio, sulla sinistra, c'è un terzo bagno (misto), semiclandestino. Privo di insegne sulla porta, non ho mai capito se si trattasse di un bagno "ufficiale" o no: spesso era chiuso a chiave e dotato di un solo gabinetto. E' il più malridotto. Il personale delle pulizie, scarso, fa quello che può ma in generale le condizioni semi fatiscenti dei servizi è tale da scoraggiare il loro uso.
Durante l'occupazione della facoltà dello scorso inverno, il Rettore, invece di rallegrarsi che 'sti ragazzi avessero dato finalmente un segno di vitalità, s'è spaventato e nel giro di una notte ha fatto montare videocamere di sicurezza in tutta la facoltà. Dopo tre anni di tasse versate, e salate, avrei preteso avesse speso quei soldi nel potenziare piuttosto le infrastrutture, a cominciare dai servizi igienici.

La didattica. E' il cuore di un corso universitario. E per quanto mi riguarda, in questi tre anni l'ho trovata eccellente. Non voglio esaminare adesso quest'aspetto, alla didattica dedicherò un articolo a parte. Qui voglio solo citare, al volo, i corsi che ho trovato più interessanti e validi: sicuramente le lezioni di Ferretti, tutte; poi quelle della coppia Giardini-Marramao, una finestra sul mondo passato e presente; la competenza della Giunta nella sua materia; le lezioni di linguistica della Catricalà ma anche quelle, interessantissime, della Stefinlongo (anche se c'ha torturato per tre giorni con i clitici); cito anche le lezioni di Abrusci pur non avendole seguite (all'eopca ero non frequentante), ma Elena mi ha sempre detto, e se lo dice lei non ho dubbi che sia così, che le sue lezioni sono state perfette, sia per la chiarezza di esposizione in aula, sia per la precisione svizzera con cui Abrusci ha seguito il programma del corso.

La presenza in aula. E' fondamentale, e l'esperienza di questi tre anni l'ha ampiamente dimostrato. Eppure, in questi anni, ho notato la sgradevole tendenza che hanno i ragazzi a disertare le lezioni man mano che il semestre avanza. Questo fenomeno si accentua nel II semestre, quello estivo. A maggio in aula c'erano praticamente quattro gatti, a parte i soliti noti del primo banco, e questo è paradossale perché un giovane ha sicuramente più tempo e meno difficoltà a frequentare rispetto ad un adulto. Penso alle mie colleghe, per esempio: tutte hanno mariti, compagni, figli da seguire (una di loro nel frattempo è diventata anche nonna, auguri) e naturalmente un lavoro a tempo pieno da mantenere. Insomma per molte di loro arrivare in aula la mattina era un po' una corsa ad ostacoli. Eppure erano sempre lì a timbrare il cartellino. I ragazzi, data l'età, si suppone che questi vincoli non li abbiano, ma per loro la presenza in aula è un optional. E questo è un errore. Seguire le lezioni non solo è parte integrante della didattica, ma è anche un'opportunità: metà di un esame si costruisce in aula. Ma soprattutto, quasi sempre, è anche un piacere. E a questo aspetto dedicherò un prossimo articolo.

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